La verginità, perdita o inizio?
Cosa perdiamo quando perdiamo la verginità? Questa domanda sorge spontanea quando ci interroghiamo su quello che è il nostro ingresso nella sfera sessuale. Perdiamo noi stessi o solo una parte di noi? Ci perdiamo per ritrovarci più vicini a un altro, come direbbe Battisti? Qualunque sia questo vuoto che la prima esperienza sessuale ci lascia, credo che il termine abbia molto poco a che vedere con le sensazioni che proviamo la prima volta in cui abbiamo un rapporto fisico con qualcuno.
Sono anni ormai che questa domanda mi tormenta e devo dire che ora che credo di aver trovato la risposta a questo enigma linguistico che avvolge di mistero la fatidica “prima volta”, sono piuttosto delusa. Estremamente banale e per questo ineccepibile, la perdita a cui incorriamo è quella della condizione di verginità. Così sembra tautologico, eppure questa definizione dell’Enciclopedia Treccani è molto sottile nel rivelarci la soluzione: la verginità è la condizione di chi non ha avuto rapporti sessuali completi.
La condizione di verginità è, quindi, uno stato di purezza originaria, di castità intatta e di innocenza fisica e spirituale che il primo rapporto sessuale penetrativo intacca inesorabilmente.
Aver spostato l’attenzione dall’ingresso nella sfera sessuale alla condizione di purezza perduta, ha creato una serie di fraintendimenti e di significati aggiunti che hanno reso particolarmente contraddittorio e importante (anche pesante) il momento del primo rapporto sessuale penetrativo. Infatti, persa la valenza di passaggio, di esperienza comune e paritaria tra due persone all’interno del mondo dell’affettività sessuale, vergine diviene sinonimo di fanciulla che assorbe nel suo significato primario la purezza e la castità di cui l’uomo la priva nel momento in cui la penetra per la prima volta, con il sangue come sigillo che macchia l’avvenuta corruzione.
Ad essere distrutto sarebbe l’imene, essere fantomatico che nessuno ha avuto mai la forza di comprendere più a fondo per scoprire che non è vero che si rompe. L’imene è una membrana che si trova all’ingresso della cavità vaginale femminile che può avere tantissime forme diverse e non ricopre praticamente mai l’intera superficie. Nei rari casi in cui questo avviene si parla di imene imperforato, una patologia che viene di solito risolta con un piccolo intervento chirurgico detto imenectomia.
Quasi sempre, quindi, l’imene nelle sue diverse forme e dimensioni copre solo parzialmente l’esterno della vagina. Essendo una membrana elastica, quando avviene la penetrazione dell’organo maschile, questa si allunga permettendo il passaggio del pene senza grandi difficoltà.
A volte la membrana può essere più rigida e slabbrarsi leggermente, provocando una piccola perdita di sangue, ma questo può succedere non soltanto la prima volta. Lo stesso discorso vale per il frenulo maschile, lembo di pelle elastico al pari dell’imene che talvolta se non ben lubrificato o troppo sollecitato può rompersi con una leggera perdita di sangue.
Dunque non perdiamo proprio nulla. La perdita della verginità si configura sempre di più come un passaggio emotivo e psicologico che come un effettivo cambiamento fisico. Passaggio di cui, se non informato, il partner non può nemmeno rendersi conto.
Eppure nel corso dei secoli proprio attraverso il mito del sangue si è cercato di controllare la sessualità femminile, prova tangibile della verginità persa nella prima notte di nozze. Se la ragazza non sanguina vuol dire che non è vergine.
Questo semplice e falso mito nasconde dinamiche di potere e oppressione molto più grandi, che hanno portato alla diffusione di pratiche aberranti come l’imenoplastica, il ripristino dell’imene, e il test della verginità, condannato dall’ONU nell’ottobre del 2018 come violazione dei diritti umani delle donne e una forma di violenza sessuale.
Aspettative dolorose
A parte le conseguenze più estreme e crudeli, i miti costruiti intorno alla perdita della verginità continuano ad avere un peso molto rilevante nell’immaginario dei giovani e soprattutto delle giovani d’oggi. Le ragazze si affacciano sulla soglia della perdita della verginità con racconti di sofferenza e sangue che inevitabilmente condizionano il modo in cui vivono questo passaggio.
Come ogni profezia auto avverante che si rispetti, il solo fatto di aspettarsi di provare dolore non fa che aumentare l’ansia, generando uno stato di tensione e contrazione che rende il rapporto inevitabilmente doloroso. Ed ecco che pezzettino dopo pezzettino il nostro puzzle della verginità diventa un quadro sempre più complesso e sempre più stravolto da quello che naturalmente sarebbe. Ecco che subentra l’amore, il voler aspettare la persona giusta per strappare il cerotto insieme.
Ovviamente ci sono anche molti altri fattori che vengono a sommarsi, soprattutto quello religioso che però era presente fin dall’inizio. Perché chi è, in fondo, che da secoli e secoli si impegna ad intervenire attivamente sulla gestione della sessualità umana? A chi mai sarà dovuto l’ideale di purezza e innocenza primordiale che non dev’essere intaccata dal peccato terreno? I valori che ha diffuso si sono talmente riverberati nel tempo da essere diventati parte del credo collettivo.
Ma non è mia intenzione né di mia competenza stendere un trattato filosofico sull’influenza della Chiesa sul controllo della sessualità umana. Ciò su cui, invece, voglio soffermare l’attenzione è quanto il valore della verginità sia un mito culturale, un costrutto sociale dovuto a meccanismi di potere e di controllo che non hanno nulla a che vedere con l’esperienza fisica del primo rapporto.
A mio avviso è fondamentale spogliare la “prima volta” di tutti questi strati di cui è stata rivestita perché ad oggi questo mito continua ad essere terribilmente presente anche con conseguenze molto gravi.
La prima conseguenza che mi sento di criticare è il senso di responsabilità di cui la prima volta sembra rivestire il partner.
Personalmente credo che questa dinamica di auto responsabilizzazione sulla base della considerazione generale che si ha della verginità sia molto pericolosa. L’effetto che sortisce è quello di impedire a chi vive in prima persona il primo rapporto penetrativo di dare un significato proprio a quell’esperienza.
Ragazzi e ragazze che si rifiutano di avere un rapporto sessuale con una persona vergine perché non vogliono sentire il peso della responsabilità che farci sesso implicherebbe, creano traumi, fanno sentire sbagliati e, purtroppo, non sono una rarità. Per non parlare del caso opposto in cui essere il primo a varcare confini insondati genera un’esaltazione per la conquista che è altrettanto problematica. Ognuno dovrebbe avere il diritto di dare il suo significato alle proprie esperienze. Soprattutto quando la visione generale della verginità e così limitata e limitante.
Penetrazione
Per muovere la seconda critica vorrei tornare alla definizione dell’Enciclopedia Treccani: la verginità è la condizione di chi non ha avuto rapporti sessuali completi. Il sesso, per essere considerato tale, deve essere penetrativo. Tutto il resto è preliminare.
Concepire il sesso esclusivamente come penetrazione, oltre a ignorare le migliaia di sfaccettature che il piacere e i rapporti fisici possono avere, significa puntare tutti i fari su un unico, fondamentale momento che inevitabilmente finisce per essere sopraffatto da tutte le ansie e di cui è stato caricato.
Dall’eiaculazione precoce alle difficoltà di erezione, dal vaginismo a semplici complicazioni momentanee, i problemi spesso vengono fuori proprio durante quello che dovrebbe essere l’evento principale della sessualità. Il momento della penetrazione è stato caricato a tal punto di pressioni sociali da avere effetti anche molto pesanti sull’io e sul partner. L’ansia di fallire nel momento più importante del rapporto porta sempre più giovani a eliminare tutte le possibili pressioni aggiunte finendo per sacrificare la tutela del proprio corpo.
Ampliare la concezione del sesso a tutte le sfaccettature che contornano la penetrazione contribuirebbe a diminuire significativamente le ansie di prestazione e le conseguenze su di sé e sulla relazione. E, soprattutto, cominciando a concepire la penetrazione come solo una delle possibili attività sessuali potremo cominciare a riconoscere la ricchezza di tutte le diverse pratiche decostruendo le gerarchie culturali che hanno (im)posto una concezione del sesso esclusivamente fallocentrica. Concepire il sesso come esclusivamente penetrativo fa arrivare al paradosso di credere che due ragazze omosessuali sessualmente attive siano vergini.
Il “valore” delle cose
In conclusione, credo che sia giunto il tempo di riappropriarci del potere di dare un nostro valore alle parole.
Ad oggi la società in cui viviamo sta attraversando una fase contraddittoria, è un ibrido tra le conquiste sociali, sessuali e personali che sentiamo finalmente nostre e residui retrogradi che continuano a mostrarsi in tutto il loro peso.
Cambiando le parole si interviene direttamente sulla realtà, ampliando i significati si accolgono tutte le sfaccettature che ci circondano.
Smettiamo di appellarci a antichi modi e accettiamo la responsabilità di vivere in prima persona la nostra vita. Il “valore” della verginità è un’imposizione culturale, riprendiamoci la libertà di essere attivi nel rendere importante qualcosa, di scegliere consapevolmente quello che vale e che conta per noi, a prescindere da tutto il resto.
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Ludovica Farrelly – ControStorie
Ho fondato la piattaforma online “ControStorie” con il desiderio di dar voce a giovani artisti e attivisti sul tema delle microviolenze digenere a cui siamo esposti inconsapevolmente nella nostra quotidianità. Vorrei creare un discorso alternativo articolato attraverso lo smantellamento di tabù e la proposta di un codice artistico consapevole che, nel toccare le emozioni, possa suscitare riflessioni profonde.